Giancarlo Majorino

16/10/2008 18:13

Incontrai Giancarlo Majorino verso la metà degli anni ottanta, forse nel 1985, a Lido di Camaiore, la bella cittadina versiliese che corre, lungo la costa tirrenica, proprio di fianco a Viareggio. Era qui per il Premio di Poesia Camaiore, ospite di Francesco Belluomini, presidente e animatore del premio.
Lo incontrai in un albergo sul lungomare, andato a quell'incontro spinto dalla grande curiosità che un suo libro, allora recentemente pubblicato, mi aveva procurato. Quel libro era Provvisorio, edito per Lo Specchio Mondadori: uno dei pochi testi, a mio avviso, che rimarranno di quel movimento e sommovimenti che avevano avuto origine, nei nostri anni sessanta, in una ricerca poetica spassionata, spesso condotta dietro il filo dell'intelletto, dove le ragioni e le regioni intellettuali e teoriche abbondavano, densa di cerebralismi, ma raramente capace di pulsare di quella strana luce che è poi il testo poetico. Provvisorio sfuggiva a tutto questo: era indubbiamente un testo d'avanguardia, nasceva senza titubanze in quall'alveo, ne riprendeva impostazioni e disegni, facile a essere confuso tra i molteplici che in quel tempo, nella letteratura italiana e internazionale, venivano pubblicati senza altro motivo che quello di collocarsi in un linguaggio alieno non solo alla tradizione poetica - come ne era, per diversi motivi, esplicita e dichiarata intenzione - ma anche a qualsiasi timbro o registro poetico, come ne era poi destino ed esito ampiamente scontato e confermato nel corso degli anni.

In quei versi di Majorino pulsava invece una passione che li governava e accendeva, che avvertivo ma che non sapevo nominare. E per trovare quel nome andai, appunto, all'incontro con il poeta. Parlammo di tante cose, volammo o sedemmo intorno a quei versi, ma non ebbi la risposta che cercavo.
Ci incontrammo nuovamente nel 2000, questa volta a Pietrasanta, ancora in Toscana e nell'occasione di una mia mostra di pittura, costruita fisicamente all'interno del chiostro di San Agostino e oltre quelle mura, che ospitavano i miei quadri, in una idea che veniva e perdurava da quei lontani anni ottanta e che ancora comprendeva quei versi del poeta milanese, o qualcosa che in quelli avvertivo, ponendoli come parte viva e significativa della mia esposizione svolta lungo un percorso all'interno del chiostro dove, tra l'altro, avevo organizzato, nell'economia della mostra stessa, una lettura di alcuni testi di Provvisorio, affidata ad alcune attrici che, in verità, glissarono alquanto dalle mie impostazioni e intenzioni dando una lettura che non mi convinse e che ancora rimpiango di non aver saputo spiegare e piegare alle mie idee e volontà.

Alla sera cenai insieme al poeta e ad altri amici. Tra quelli ricordo Nicola Micieli, e il poeta genovese Luciano Roncalli. In quella conversazione un poco del mio originario stupore ebbe finalmente un nome, che ancora sale alla mia mente quando poso gli occhi su quel testo; ancora convinto, come allora, che Provvisorio rappresenti una reale evoluzione della poesia italiana, un passaggio centrale, le cui fila, ora disperse o disattese, un qualche giorno saranno riprese e i semi in quei versi custoditi verranno, prima o poi, a fiorire.

 

p


arphon tiharphon seguìlimi preebado pohn e phon seguìlimi
ohn forse non dovevo fohn e fohn prebado non dovevo
scriverti ma portar ti arfohn tiharfohn scriver ti ma
port arti come ruga seguìlimi preebado fon e fon
scriverti qualsiasi quals iasi qualsiasi quaals
non scriverti portarti ohn dovevo
quals come un tatuaggio fohn come una ruga


 

Giancarlo Majorino, da Provvisorio, Mondadori 1984

 

P di Giancarlo Majorino

Denti di latte

noi siamo qui / io ti penso / sotto la lampada / e sei / ma in una forma leggera / piccolo tondo scavato / con questo aiuto di carta / nella mia mente d'amore / ma in una forma leggera / stella di latte nel vetro / tutti ti guardiamo ma a me sarai amica, luna, ancora? / sei ancora viva stai ancora...