Appena stella

Appena stella

Dopo aver pubblicato Opera Prima, nel 1983, pensavo di aver già detto tutto quanto potevo in poesia. La seconda sezione di quel libro aveva preso forma e corpo su indicazioni teorie convincimenti e teoremi di quei diversi movimenti che possiamo ricapitolare nel termine "neoavanguardia". Sapevo che oltre quanto avevo scritto mi era impossibile andare: per me il verso poetico poteva esistere solo come momento di comunicazione, di comunione, della quale la parola fosse l'ostia e la pagina la celebrazione. Odiavo i vuoti giochi di parole, lo sperimentalismo fine a se stesso, il rinchiudersi in uno sterile dibattito fra quattro voci. Così cominciai a guardare con interesse e simpatia alla Poesia Visiva che aveva a Firenze il centro di diffusione: quel suo rifarsi a modelli linguistici usati dai mass media, che chiamavano in causa i lettori senza bisogno di righe e righe e righe di presentazioni e teorizzazioni. Nel 1983 organizzai la mia prima mostra di poesia visiva, alla quale ne sarebbero seguite altre, volgendo il mio vivere la poesia anche a una dimensione visuale, incentrata sul rapporto tra parola forma e colore, seppure il mio percorso prendesse subito un aspetto autonomo, distinto dai modelli espressivi di Miccini e Pignotti e gli altri esponenti di quella giovane corrente artistica. Conservavo comunque sempre vicino a me un quaderno ma le poche volte che provavo a riempirlo di un qualche verso la mano si fermava, incappata in qualche vuota banalità: arrivai a pensare che mai più avrei scritto poesie. Invece nel 1993, sempre per quel vento che ha origine nei fatti della vita, nel destarsi di questa a nuove stagioni, lentamente una brezza tornava a lambire i bordi della pagina, poi l'intero foglio, infine ad annunciarmi che la poesia era tornata, in uno stile diverso dal precedente, forse più sopita e levigata, ma sicura e certa. Alcuni di quei componimenti furono raccolti in un bianco volumetto, personalmente stampato nel 1998: Appena Stella, poi riproposti su diverse riviste letterarie tra le quali Paragone, nel generale favore che accolse quei versi.

Dentro il tuo fiato sospeso
Dentro il tuo fiato
sospeso,

nel lento correre
del cuore,

con le dita tocco
il tuo volto.

Dici: parole
in un profumo di rive,

di rane
e d'acque trapunte.

Che questo soffio scomponga
il tempo,
ne separi il tuo volto,

dove una luce
eternamente lo vegli.

Questo cielo
Non è che te questo cielo,
o il muto pallore degli astri,

o le tue dita che cercano
tra i miei capelli
come un'alba tra le chiome dei viali.

Qui! Come fermasse il mondo:
finestre aperte
sui chiarori del mattino.

Come una pagina vuota,
una parola volgare,
o una bocca maligna,

che spia e ama
la grazia distante della gente.


L'altra città
Città, che è un sogno
fatto fuori del tempo,

stazione
dove nessuno sembra partire!

Quaresime sono le case,
voli che nessuno pensa i campanili!

Qui il giorno
è un amico felice
con un passo leggero,

dove più niente sembra venire,
più niente tornare!

Bianche pagine le vie,
dove tutto è scritto,
tutto è cancellato!

Da dove si vola in un canto,
o in un angolo di pensiero,
città che tutto attraversi,
e a niente appartieni,
e i dolori toccano
come bordi di una mano,
o occhi che dall'alto vedano.

Orme di un altrove
sembrano i passi,
voli nelle piazze le grida,
come in uno specchio
di un paesaggio eterno.

In fondo un pensiero
è un giorno sempre un po' mai trascorso,
davanti al quale
socchiudere gli occhi,
parola o mani tese
dove riposa l'altra città,
sulle rive addormentata
della tua quiete.

Appena Stella
Di tutto quello che già era
tocca ora la tua voce,

e ne sopisce le distanze
una sussurrata visione,
appena stella
che sul mio tempo stai
con grazia di madre.

Appena sono i passi,
chiaroscuri i domani

dai quali sorte
come in una festa pagana
un'antica dolcezza.

Come un caldo pullover
tieni sulle spalle i giorni,

un'imberbe età ti accarezza
e posa in uno specchio
le tue parole.

Nel tuo respiro cullata
un'immagine ripete
l'antico sfarzo della gioventù.